Auschwitz

Auschwitz Birkenau, Oświęcim, Polonia.

E’ successo tutto davvero! 
Fa freddo. Devo trattenere le lacrime, le gambe incespicano, si sono irrigidite.
Trovo spazio su una traversina senza ciottoli, le rotaie arrugginite continuano a correre diritte, inarrestabili, sino al cancello che si spalanca nel campo di sterminio di Auschwitz Birkenau.
I tanti libri letti, poi i film visti, avevano creato una sorta di “cinema” tra il vero e l’inverosimile nella mia mente. Credevo d’essere pronta per attutire il colpo della vista, ma non è stato così: non si è mai preparati al male del male.
Laggiù, sotto un cielo plumbeo e grigio, tra la foschia di questa giornata fredda di una primavera che sembra inverno, oltre il filo spinato di quel luogo simbolo, si è paralizzata la parte più buia, scura e incomprensibile dell’animo umano.
Oltre il filo spinato si è congelato il dolore di un milione e mezzo di donne, uomini e bambini. Mentre me ne sto impettita ad ascoltare la guida, mi sembra di sentirli. Non posso muovermi, devo rimane qui ancora un poco.
Mi sono svegliata presto stamattina Wroclaw sonnecchiava ancora.
Ci siamo ritrovati sulla strada che in due ore e mezza porta al paese di Oświęcim, ribattezzato dai nazisti Auschwitz. Dopo l’invasione della Polonia nel ’39, trasformarono le caserme polacche a lato del paese nel campo di concentramento di Auschwitz.
Quello definito come Auschwitz 1, ora sede del museo dello sterminio. Passo sotto la scritta “Arbeit Macht Frei”, che il comandante Rudolf Höss si portò orgogliosamente da Dachau, dove si era fatto le “ossa”.

Nei vari block sono raccolte le testimonianze degli orrori nazisti: il campo-museo, destinato al memoriale dello sterminio, con le sue macabre testimonianze, avrebbe dovuto essere per me il preludio per Birkenau.
Ma non è stato così. Avevo preso tempo, andando da un block all’altro, dalla Shoah degli Ebrei, al Porraimos dei Sinti e Rom, dei comuni prigionieri, dei testimoni di Geova, nei block delle nazioni, hanno riassunto il dolore del proprio popolo.
Mi sono fermata al block 10, chiuso, in raccoglimento dinnanzi alla porta serrata dietro la quale Josef Mengele, il “dottor morte”, eseguiva i suoi macabri esperimenti. La prima camera a gas, i forni crematori, frusciando in silenzio tra gruppi di turisti muti e attoniti come noi.
Sono trascorsi settant’anni e qui nessuno alza la voce. Qui ci siamo arrivati col bus-navetta
Andandoci a piedi non ci saremo persi...Non ci si può perdere: i binari stesi nel ’44 per sveltire i trasporti sono ancora lì a indicare la strada. 
Girato l’angolo fuori paese, tra i campi incolti sotto il cielo grigio di piombo, l’impatto della vista è stato emotivamente devastante.
Sono rimasta impietrita. Qui dove sono ora, come se tutto di colpo si materializzasse nella cruda e crudele realtà. E’ successo tutto davvero, allora!

Il freddo non molla. Anche dentro di me.

 

Mi trascino oltre il portale, cammino con fatica in quel grigio dolore rimasto scolpito nella terra fredda dal 27 gennaio 1945.
Nel silenzio tombale scricchiolano i sassi sotto il passo sulla “neue rampe”, la rampa dove i binari si dividevano segnando il destino di esseri umani incolpevoli che, dopo la selezione, si incamminavano nell’ultima processione.
Le baracche, quelle che sono rimaste dei vari block, sostengono a pena il peso delle violenze celate. Altre che non ci sono più hanno lasciato scheletri di camini allineati in un eterno appello.
E’ tutto qui, paralizzato, congelato, sino all’ultimo secondo, all’ultimo grido del giorno della liberazione del 27 gennaio ’45. Il block della quarantena, quelli delle donne e degli uomini, famiglie divise dal filo spinato o dalla morte.
Quello dei Sinti e Rom, il campo “zingari” già vuoto nel ’41. Erano finiti laggiù seguiti da un altro milione e mezzo di anime, in fondo, oltre il famoso e infelice bosco di betulle, che ancora oggi “orna” le camere a gas e i forni crematori minati e fatti saltare dalle famigerate SS, per occultare una realtà inoffuscabile.
Le macerie urlano ancora 
“E’ successo e può succedere ancora” ha scritto Primo Levi che lasciò questo mondo non sopportando il peso di Auschwitz. Prima che il mondo dovesse nuovamente assistere alla pulizia etnica di Srebrenica e ad altri fatti atroci. Vergogne dei nostri tempi. 
A cosa è servito tutto questo?
Tutti dovrebbero venire un giorno di quasi primavera ad Auschwitz Birkenau. E sedersi qui, nel peso insopportabile di questo silenzio ululante.